Qualche tempo fa si è parlato del modo in cui è nato questo blog e del suo stretto collegamento con edillia, l’agenzia di servizi editoriali e redazionali a cui questo spazio è legato e la cui genesi è stata un processo.
edillia non è stata un’idea fulminante, non è stata un’illuminazione divina, né un’epifania. È stata un processo.
Un work in progress che si è sviluppato in modo latente prima di trovare il coraggio di mettersi a nudo.
Bloc-notes, appunti, navigazioni improbabili e incaute sul web sono state il primo timido tentativo di trovare una strada percorribile per fare qualcosa in cui potercela davvero mettere tutta.
Poi per un lungo tempo quell’assillo si è assopito. Una specie di letargo, seguito da un lungo sbadiglio, una boccata di ossigeno e un sondaggio sapientemente condotto tra pochi, ma buoni.
Gli appunti sono riemersi assumendo una forma più intellegibile; le navigazioni sul web sono ricominciate mantenendosi improbabili e incaute.
Ma utili.
Utili a capire che il punto di partenza doveva essere quello di dare un’identità al progetto.
E siccome l’identità è una cosa seria che non si può affidare alla fortuna e alla sola fantasia galoppante, quegli appunti, finalmente condivisibili, andavano messi nelle mani di una persona – un professionista, prima di tutto, e un amico, tra l’altro – che ha giurato solennemente di poter dare un nome e un volto a quel germe di idea. E che, anzi, quel nome e quel volto erano già nascosti nel mucchietto di carta che avrebbe, con cura, analizzato.
Non si sarebbe trattato di una magia, certo, ma di un percorso in cui sarebbe stato tirato fuori un coniglio dal cilindro.
Tanto per cominciare, andando a sviscerare le motivazioni alla base del progetto e il modo in cui dovevano essere filtrate per essere comprese (nel senso di “prendere insieme”) dagli altri.
Bisognava chiedersi: cosa c’è offrire e come farlo.
Il cosa era già di per sé piuttosto chiaro, andava solo (solo!?) condiviso; ed è stata anche la condivisione a far emergere che si trattava di un cosa che in fondo potevano offrire (e offrono, in effetti) in molti altri. Bisognava essere realisti.
L’unica possibilità di differenziazione era, perciò, il come. E, come spesso accade, l’unicità di un progetto, di un’idea, di una qualsiasi iniziativa, sta nelle persone che la attuano.
Personalizzare, quindi, doveva essere la parole d’ordine.
Così il campo delle ricerche e dei voli pindarici di cui solo i creativi, come il professionista scelto, sono capaci, si è ristretto concentrandosi sul nome di battesimo di chi gli aveva fornito quel mucchietto di carte a appunti: Cecilia.
E da quel nome si è passati a quello dei servizi da offrire, da cui ha preso in prestito la radice.
Ha shakerato il tutto e…
“edillia”, ha detto.
Forse senza volerlo o senza rendersene conto, non aveva solo “reso omaggio” a un nome, ma anche richiamato un po’ l’idillio; un buon auspicio, quindi, per evocare uno stato di tranquillità, di rapporti sereni e trasparenti come quelli che edillia ambiva a stringere con chi avrebbe, di lì in poi, avuto fiducia in lei, ma anche un “ricordo” di quei componimenti poetici – di brevi dimensioni e con caratteristiche, diciamo, personali e soggettive – della cultura greca; e, infine, un tacito cenno all’idea, bozzetto, figura (eidos), ed edillia avrebbe in effetti avuto a che fare con idee in itinere.
Sembrava che il cerchio si chiudesse.
E a quel punto non restava che lavorare sulla “faccia” che quel nome avrebbe avuto (questa “faccia”, tecnicamente, si chiama “brand image”, dicevano dalla regia).
Ora, il naming è stato un gioco divertente. Un gioco che è stato tale solo dal punto di vista di chi lo ha subito, perché, invece, per chi lo ha messo in atto si è trattato di un lavoro molto serio che, attraverso un’analisi attenta e per nulla facile, ha portato a galla diversi ragionamenti e numerose altre ipotesi prima di concretizzarsi in quella considerata come la più “giusta”.
Tutto il resto – la realizzazione del logo, la scelta dei colori e del font, il pay off, e chi più ne ha più ne metta – è sfociato in questa combinazione di lettere e colori valutati uno per uno in ogni dettaglio e con entusiasmo patologico.
Le due l vogliono somigliare a due libri un po’ inclinati in una libreria a tratti scomposta – perché la creatività non è una scienza esatta e perché le librerie ordinate sono noiose – e l’arancio è il colore più vicino all’idea di energia. Un colore che, peraltro, accomuna edillia alle cromie di chi le ha scattato questa “fotografia”: il graphic & web designer Luca Pagliara, fondatore di The Brand Identity (e anche project manager di Half and Half Project e cofondatore di MaPa).
Amante di tutto ciò che è rétro e instagram addicted (in suo onore la foto rigorosamente 1:1 qui a lato!), Luca di sé dice: «Sperimento, leggo, approfondisco, ascolto, osservo».
Leggendo queste righe, adesso, avrà sicuramente pensato: “Speriamo almeno che quel cilindro fosse vintage”!